Tribunale di Cremona
Ordinanza 13 settembre 2012
(est. G. Borella)
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA
SEZIONE UNICA PROMISCUA
In persona del Dott. Giulio Borella Visto l’art. 279 c.p.c.;
Visto l’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art. 1 L. 27/2012, visto il D.M. 140/2012 del 20.07.2012, pubblicato in G.U. del 22.08.2012;
SOLLEVA
Eccezione di illegittimità costituzionale delle predette disposizioni, confliggenti con gli art. 3, 24 e 117 Costituzione, in relazione all’art. 6 Cedu, all’art. 5 co.IV e all’art. 296 Trattato Ue, all’art. 6 Trattato Ue e alla Carta dei Diritti dell’Unione firmata a Nizza nel 2000
MOTIVI
L’art.
9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dalla L. 27/2012, ha
disposto l’abrogazione con effetto ex tunc, quindi anche per le cause in
corso, delle tariffe professionali.L’effetto retroattivo dell’abrogazione si evince senza possibilità di equivoci o differenti interpretazioni dalla lettera dell’art. 9 co. I-II, ove si afferma perentoriamente che “sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” e “nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante…”.
Anche il co. V indirizza nella stessa direzione, affermando che “sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe…”.
Ora l’applicazione retroattiva dell’abrogazione delle tariffe deve ritenersi in contrasto con gli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione, quest’ultimo nella parte in cui impone di legiferare nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall’Italia, nella specie l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (cui ha aderito anche l’Unione ex art. 6 Trattato Ue) e il principio di proporzionalità all’art. 5 co. IV e all’art. 296 trattato Ue, oltre che nel rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione firmata a Nizza nel 2000, pure richiamata dall’art. 6 Trattato Ue, che annovera lo stato di diritto tra i principi comuni alle tradizioni costituzionali degli stati membri dell’Ue.
Sebbene infatti la nostra Costituzione non preveda, se non in campo penale e, secondo un’interpretazione più moderna, in tutto il settore sanzionatorio, il divieto assoluto di norme retroattive, il principio di irretroattività riceve comunque copertura costituzionale, come anche recentemente la Consulta ha avuto modo di affermare nella sentenza n. 78/2012.
L’art. 3 della Costituzione infatti, nello stabilire il principio di uguaglianza e, quindi, di ragionevolezza delle scelte del legislatore, impone di salvaguardare la certezza dell’ordinamento, in funzione dell’affidamento dei cittadini, che devono poter orientare le proprie condotte, confidando che esse non saranno sindacate ex post, in base a norme non vigenti e, dunque, non conoscibili al momento in cui la fattispecie produttiva di effetti giuridici era ancora in fieri.
Ugualmente l’art. 117 della Costituzione, nell’imporre al legislatore di legiferare in conformità al diritto internazionale pattizio, rinvia, tra l’altro, alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ratificata dall’Italia con L.
848/55, nonché alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha pure avuto modo di precisare come, ex art. 6 CEDU, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo ostano a che il potere legislativo interferisca con l’amministrazione della giustizia o pregiudichi l’affidamento dei cittadini (cfr Corte EDU 07.06.2011 Agrati c/Italia).
Analoghi principi si rinvengono in ambito comunitario, per effetto del richiamo effettuato dall’art. 6 Trattato Ue alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e alla Carta dei Diritti dell’Unione di Nizza.
Dal compendio normativo richiamato emerge come la retroattività di una legge non penale possa ammettersi solamente laddove, all’esito di un prudente bilanciamento, sussistano preminenti motivi imperativi di interesse generale a sostegno della scelta.
Ora, con riferimento alla norma censurata, non risultano sussistere tali imperative ragioni di interesse generale, e la norma è irragionevole.
Infatti lo scopo dichiarato del legislatore, col D.L. 1/2012 e norme derivate e conseguenti, è quello di liberalizzare il mercato delle professioni.
Tuttavia, rispetto a tale obiettivo, la retroattività dell’abrogazione delle tariffe è del tutto inefficace e, quindi, il mezzo appare inadeguato e sproporzionato allo scopo (con ciò concretizzando anche violazione del principio di proporzionalità, immanente al sistema dell’Unione ed esplicitato dall’5 co. IV Trattato sull’Unione e art. 296 del Trattato sul funzionamento dell’Unione).
Infatti l’autonomia negoziale, cui la liberalizzazione vorrebbe fare da volano, risulta veramente spendibile solo nel momento – anteriore all’instaurazione del rapporto - delle trattative e, quindi, solamente con riguardo ai contratti ancora da stipulare, successivi alle nuove disposizioni, mentre, per quelli già conclusi in epoca precedente e tutt’ora in fase di esecuzione, il mutamento dei compensi in corso d’opera si traduce in un mutamento dell’equilibrio contrattuale a suo tempo concordato tra le parti (con una di esse che inevitabilmente finisce per guadagnarci e un’altra per perderci), a dispetto delle valutazioni di convenienza dalle stesse condotte al momento della stipulazione, quando invece, in passato, era sempre stato pacifico che le nuove tariffe che via via entravano in vigore si sarebbero applicate solo ed esclusivamente agli adempimenti successivi.
Ciò ha del resto la sua logica spiegazione giuridica nel fatto che il diritto e la misura del compenso del professionista sorgono e si determinano nel momento stesso del compimento delle singole attività.
S’intende dire che la fattispecie giuridica, col compimento del singolo adempimento, si è già perfezionata e l’effetto (il diritto e la misura del compenso) si è già prodotto in favore del professionista, secondo il noto sillogismo fattonorma-effetto.
Intervenire retroattivamente su quell’effetto significa dunque non solo toccare un diritto quesito, ma anche alterare arbitrariamente gli effetti di una fattispecie esaurita, a danno necessariamente di una delle parti.
Potrebbe quindi oggi quindi venirsi la disomogenea situazione per cui, pur avendo in ipotesi due avvocati posto in essere il medesimo adempimento in una stessa data, uno di essi, più solerte nel chiederne il pagamento, avrebbe conseguito il dovuto nella misura prevista dalle vecchie tariffe, mentre il secondo, che abbia come di consueto atteso la fine del giudizio, limitandosi a richiedere di volta in volta degli acconti, si vedrebbe liquidato un compenso differente e mediamente più basso.
Né si dica che, per i contratti in corso, le parti potrebbero cautelarsi rinegoziando il rapporto e concludendo l’accordo caldeggiato dalla riforma: v’è infatti da domandarsi quale forza negoziale possano spendere gli avvocati nei confronti di clienti che, nel caso non si dovesse raggiungere un accordo, sanno che il compenso verrà liquidato in base al nuovo D.M. 140/2012.
Il quale prevede compensi mediamente assai più bassi di quelli a suo tempo liquidabili col D.M. 08.04.2004 (stante anche il fatto che il valore della causa non si determinerebbe più, come avveniva in precedenza, in base alle norme del codice di procedura civile, bensì in base alla somma finale concretamente attribuita alla parte vincitrice).
Il caso di specie è emblematico: posto un valore della controversia di euro 5.000,00 circa, in base al D.M. 08.04.2004 le parti hanno presentato parcelle che oscillano tra euro 4.664,00 ed euro 10.000,00 circa, oltre a spese e accessori, mentre, adottando il D.M. 140/2012, il compenso del legale ammonterebbe, in media, ad euro 2.100,00 circa, aumentabile fino ad un massimo di euro 3.855,00.
Invece i calcoli funzionali alla conclusione degli accordi sui compensi si debbono fare all’inizio e a bocce ferme, non in corso di causa.
In realtà l’obiettivo del legislatore sembra essere un altro: dare forza contrattuale al cliente, tramite l’abbassamento delle tariffe, ma non già per favorire il portafogli del cliente stesso, bensì per spingere gli avvocati a non accettare incarichi non remunerativi e, così, bloccare l’alluvionale afflusso di processi che intasano le aule di giustizia, afflusso che non ha pari in nessun altro paese d’Europa.
In pratica, dietro l’apparente schermo della liberalizzazione, si tenta di risolvere il problema della giustizia, facendo leva sul solito versante delle spese: fino ad oggi lo si era fatto calcando la mano sulla soccombenza; oggi lo si fa svilendo il lavoro degli avvocati.
Ed ecco allora che, nell’ottica del legislatore, anche la retroattività dell’abrogazione delle tariffe acquisterebbe un senso: quello di spingere gli avvocati a definire in fretta cause per le quali si rischia di aver lavorato per anni in perdita.
Così però si usa in maniera distorta lo schermo della liberalizzazione e lo strumento della retroattività, per creare un filtro indiretto all’accesso dei cittadini alla giustizia.
Ma ciò è contrario all’art. 24 della Costituzione, che deve quindi anch’esso ritenersi violato dalla normativa censurata.
Si è tutti d’accordo che, tra le cause della lentezza dei processi, vi sia l’eccessiva mole di contenzioso.
Bisogna però allora avere il coraggio di fare una scelta fondamentale: o garantire un accesso alla giustizia indiscriminato, come avviene oggi, strada che appare però sempre più difficilmente percorribile, a fronte della scarsità di risorse; oppure creare i giusti filtri e limiti – il filtro in Cassazione e il filtro in appello ad esempio, recentemente introdotto -, che però non possono passare per lo svilimento del lavoro già svolto di un’intera categoria di professionisti.
P.Q.M.
Ritenuto
che le questioni sollevate siano pregiudiziali, non potendosi decidere
sulla liquidazione delle spese senza la risposta della Consulta;ritenuto altresì che la questione non sia manifestamente infondata, per tutti i motivi addotti;
ritenuto che la lettera della legge non consenta interpretazioni alternative, compatibili col dettato costituzionale, che autorizzino il Giudice a non applicare retroattivamente le nuove tariffe;
IL TRIBUNALE DI CREMONA
in persona del giudice monocratico Dott. Giulio Borella, solleva eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art. 1 della L. 27/2012, e del collegato D.M. 140/2012, nella parte in cui dispongono l’applicazione retroattiva delle nuove tariffe forensi anche ai processi in corso e all’attività già svolta ed esaurita prima della sua entrata in vigore, in relazione all’art. 3, 24 e 117 Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 Cedu, all’art. 5 trattato Ue e all’art. 296 Trattato sul Funzionamento dell’Ue e all’art. 6 Trattato Ue e per esso ai principi dello Stato di Diritto richiamati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta di Nizza.
Dispone la sospensione del processo in corso e ordina la trasmissione dell’ordinanza e degli atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla prova delle notificazioni eseguite.
Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica ex art. 23 ult.co. L.
87/1953.
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