NUOVI COMPENSI PROFESSIONALI ex Decreto Ministero Giustizia
20.07.2012 n° 140 , G.U. 22.08.2012
(D.M.140/12)
Sommario
Premessa:Pagg. 1- 3
Cap.I: Il D.M.140/2012:ambiti di
applicazione ed efficacia temporale Pagg.3-4
Cap.II:
Sollevata eccezione di legittimità costituzionale pagg.4-10
Cap.III: L’abrogazione delle Tariffe
Forensi e il loro “recupero”attraverso gli usi ex art.2233 C.C.-pagg.10-12
Cap.IV: la difesa del sistema
Tariffario nella Giurisprudenza della Corte di Giustizia C.E. pagg.12-16
Conclusioni:
pag.16
Appendice
Schema
accordo del CNF
Testo
D.M.140/12
Premessa: Tariffario. Onorari o Compensi?
La nuova
normativa recante, tra le altre, la disciplina in tema di compensi professionali
dell’avvocato, ha riformato la relativa disciplina di settore, abrogando le
Tariffe precedentemente in vigore, come è dato evincere dall’art. 9 del Decreto Legge 1/2012
convertito dalla Legge 27/2012.
1)” sono abrogate le tariffe professionali regolamentate nel sistema
ordinistico.”
Successivamente, il D.M.140/12 del
20 Luglio 2012 appronta una disciplina di matrice statuale, rivolgendosi in primis all’organo Giudicante, che
avrà a disposizione parametri orientativi, non cogenti, per la liquidazione dei
compensi professionali. Tali parametri potranno essere anche presi a riferimento per la stipula di accordi
preventivi con il proprio Cliente, pur non interferendo con i medesimi, dal
momento che i parametri per la determinazione dei compensi professionali sono
destinati all’Organo Giudicante, precisamente nella fase di liquidazione degli
stessi. Il D.M. 20.07.2012 n.140, già ad
una prima lettura mostra il diretto destinatario del provvedimento, ovvero
l’Organo Giudicante, nel preciso momento della liquidazione. D’altro lato, lo
stesso Decreto circoscrive temporalmente l’ambito di applicazione della norma la
fase della liquidazione. Esso si applica ai professionisti, o, meglio, ai
compensi degli stessi, dettando più che regole stringenti, criteri e parametri
di applicazione, in mancanza di accordi preventivi tra professionista e
Cliente. Il termine fa riferimento ad un criterio onnicomprensivo, nel quale si
ricomprendono diritti e onorari, laddove la legge nulla dice in materia di
spese generali .Il D.M. opera, già nella stessa terminologia, una riforma,
laddove si può leggere “compenso” al posto di Tariffario, e dal punti di vista
strutturale e sostanziale, laddove ricomprende nella dizione “compenso” le voci
che, fino alla vigenza dei Tariffari, suddividevano le singole “voci” in
Diritti ed Onorari. Per una stessa attività le voci venivano duplicate, come,
per esempio, l’assistenza alle udienze. D’altro lato non vi è dubbio che alcune
attività quali, ad esempio, l’”accesso in ufficio, il pagamento del C.U.,
la fascicolazione ed indice”, un tempo previste all’interno delle
Tariffe Forensi quali “Diritti”, siano fatte oggetto di previsione dall’art. 11 D.M.140/12.Per consentire il
calcolo delle singole voci all’interno della fascia di valore della
controversia, si potrà, allora, fare ricorso alle ormai abrogate Tariffe
Forensi, e ciò ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.2225 e 2233
Cod.Civ. A parere dello scrivente ciò
può essere possibile, riesumando, in tal modo, gli ormai defunti Tariffari,
limitatamente alle voci di spesa, ai sensi di cui all’art. 2233 Cod.Civ.In altre parole:le tariffe sono state
abrogate,esse, tuttavia, in presenza di un vuoto legislativo, possono essere
usate, condizionatamente, e limitatamente, quali “Usi”, ai quali parametrare i
nuovi calcoli. Possono, in tale caso verificarsi, due ipotesi: la prima:
accordo preventivo con il Cliente, in cui la libertà contrattuale fa allineare
il sistema italiano ai modelli concorrenziali degli altri Paesi dell’UE,
segnatamente la Francia e il Regno Unito. La seconda, in assenza di accordi con
il Cliente, ed in presenza di ipotesi rimesse alla valutazione discrezionale
dell’Organo giudicante, si potrà, pur sempre, fare riferimento agli ormai
superati Tariffari forensi, tenendo conto, però del combinato disposto degli
artt. 2225 e 2233 C.C.
(TAR Lombardia-Brescia, sez. I,
ordinanza 10.09.2012 n° 1528) .
La valutazione del compenso
dell'avvocato, in base al D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, deve essere
onnicomprensiva, senza distinzione alcuna tra diritti ed onorari. (TAR
Lombardia-Brescia, sez. I, ordinanza 10.09.2012 n° 1528 )
In particolare, la liquidazione si
compie avuto riguardo alla complessità della questione e, nel caso di sentenze
di rito, comporta un compenso ridotto del 50%. (Nella specie il giudizio aveva
ad oggetto una questione sulla quale, all’epoca della proposizione del ricorso,
esisteva una giurisprudenza favorevole del tutto costante e inequivoca sulla
possibilità di ottenere la cd. legalizzazione del cittadino straniero
irregolarmente presente sul territorio nazionale pur in presenza di una
condanna per l’abolito reato di cd. clandestinità, tanto che esso è stato
definito con sentenza di cessata materia del contendere per essersi la p.a.
rideterminata in via di autotutela.)
Cap.I: Il D.M.140/2012:ambiti di
applicazione ed efficacia temporale
La sentenza del Tribunale di Varese
(dr. Giuseppe Buffone) n. 1252/2012 cerca di risolvere l’annoso problema della
applicazione temporale del DM Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (Regolamento
recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi).
I problemi sorgono perché l’articolo
9 del DL che ha abrogato le c.d. tariffe professionali prevedeva la proroga
dell’applicazione delle tariffe fino al termine ultimo del 24 luglio 2012 per ‘le
liquidazioni delle spese giudiziali‘. Il DM 140/12 sarebbe applicabile,
invece (per espressa previsione del suo art. 41), alle liquidazioni successive
al 23 agosto 2012.
Secondo il Tribunale di Varese, il
DM 140, nell’art. 41, prevede che le nuove regole valgano solo “per le
liquidazioni successive alla sua entrata in vigore e quindi, dal 23.8.2012“.
Ai fini della applicabilità ai processi pendenti il DM indica come parametro di riferimento, quindi, il momento in cui il giudice deve provvedere a liquidare il compenso.
In altri termini, il tempo della attività compiuta (ai fini della determinazione del compenso) non deve essere considerato, mentre rileva, nella liquidazione, la data della pronunzia.
Ai fini della applicabilità ai processi pendenti il DM indica come parametro di riferimento, quindi, il momento in cui il giudice deve provvedere a liquidare il compenso.
In altri termini, il tempo della attività compiuta (ai fini della determinazione del compenso) non deve essere considerato, mentre rileva, nella liquidazione, la data della pronunzia.
Di conseguenza, il giudice che non
reputa congruo il parametro di liquidazione determinato in base ai nuovi
criteri, per giudizio già in corso prima del 23 agosto 2012, potrebbe
semplicemente disapplicarlo, ricalcolando il compenso secondo i vecchi criteri,
ovviamente motivando le ragioni di un tale discostamento (volte alla tutela
della attività svolta dall’Avvocato, sotto l’egida delle vecchie tariffe).
Secondo alcuni colleghi, tale comportamento altro non è che l’applicazione del ‘pericolosissimo’ art. 1 co. 7 del DM 140/2012, che recita: “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”.
Secondo alcuni colleghi, tale comportamento altro non è che l’applicazione del ‘pericolosissimo’ art. 1 co. 7 del DM 140/2012, che recita: “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”.
le soglie non sono vincolanti, quindi, il giudice può sempre discrezionalmente
discostarsene.
Cap.II: Sollevata eccezione di
legittimità costituzionale
D.M.140/12
Qui di seguito il testo integrale
dell'Ordinanza che rimette la questione di legittimità costituzionale alla
consulta per violazione non solo di alcuni principi della Carta Costituzionale,
ma anche dei Trattati UE e della convenzione dei Diritti dell'Uomo
Tribunale di Cremona
Ordinanza 13 settembre 2012
(est. G. Borella)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA
SEZIONE UNICA PROMISCUA
In persona del Dott. Giulio Borella Visto l’art. 279 c.p.c.;
Visto l’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art. 1 L. 27/2012, visto il D.M. 140/2012 del 20.07.2012, pubblicato in G.U. del 22.08.2012;
SOLLEVA
Eccezione di illegittimità costituzionale delle predette disposizioni, confliggenti con gli art. 3, 24 e 117 Costituzione, in relazione all’art. 6 Cedu, all’art. 5 co.IV e all’art. 296 Trattato Ue, all’art. 6 Trattato Ue e alla Carta dei Diritti dell’Unione firmata a Nizza nel 2000
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA
SEZIONE UNICA PROMISCUA
In persona del Dott. Giulio Borella Visto l’art. 279 c.p.c.;
Visto l’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art. 1 L. 27/2012, visto il D.M. 140/2012 del 20.07.2012, pubblicato in G.U. del 22.08.2012;
SOLLEVA
Eccezione di illegittimità costituzionale delle predette disposizioni, confliggenti con gli art. 3, 24 e 117 Costituzione, in relazione all’art. 6 Cedu, all’art. 5 co.IV e all’art. 296 Trattato Ue, all’art. 6 Trattato Ue e alla Carta dei Diritti dell’Unione firmata a Nizza nel 2000
MOTIVI
L’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con
modificazioni dalla L. 27/2012, ha disposto l’abrogazione con effetto ex tunc,
quindi anche per le cause in corso, delle tariffe professionali.
L’effetto retroattivo dell’abrogazione si evince senza possibilità di equivoci o differenti interpretazioni dalla lettera dell’art. 9 co. I-II, ove si afferma perentoriamente che “sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” e “nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante…”.
Anche il co. V indirizza nella stessa direzione, affermando che “sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe…”.
Ora l’applicazione retroattiva dell’abrogazione delle tariffe deve ritenersi in contrasto con gli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione, quest’ultimo nella parte in cui impone di legiferare nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall’Italia, nella specie l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (cui ha aderito anche l’Unione ex art. 6 Trattato Ue) e il principio di proporzionalità all’art. 5 co. IV e all’art. 296 trattato Ue, oltre che nel rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione firmata a Nizza nel 2000, pure richiamata dall’art. 6 Trattato Ue, che annovera lo stato di diritto tra i principi comuni alle tradizioni costituzionali degli stati membri dell’Ue.
Sebbene infatti la nostra Costituzione non preveda, se non in campo penale e, secondo un’interpretazione più moderna, in tutto il settore sanzionatorio, il divieto assoluto di norme retroattive, il principio di irretroattività riceve comunque copertura costituzionale, come anche recentemente la Consulta ha avuto modo di affermare nella sentenza n. 78/2012.
L’art. 3 della Costituzione infatti, nello stabilire il principio di uguaglianza e, quindi, di ragionevolezza delle scelte del legislatore, impone di salvaguardare la certezza dell’ordinamento, in funzione dell’affidamento dei cittadini, che devono poter orientare le proprie condotte, confidando che esse non saranno sindacate ex post, in base a norme non vigenti e, dunque, non conoscibili al momento in cui la fattispecie produttiva di effetti giuridici era ancora in fieri.
Ugualmente l’art. 117 della Costituzione, nell’imporre al legislatore di legiferare in conformità al diritto internazionale pattizio, rinvia, tra l’altro, alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ratificata dall’Italia con L.
848/55, nonché alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha pure avuto modo di precisare come, ex art. 6 CEDU, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo ostano a che il potere legislativo interferisca con l’amministrazione della giustizia o pregiudichi l’affidamento dei cittadini (cfr Corte EDU 07.06.2011 Agrati c/Italia).
Analoghi principi si rinvengono in ambito comunitario, per effetto del richiamo effettuato dall’art. 6 Trattato Ue alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e alla Carta dei Diritti dell’Unione di Nizza.
Dal compendio normativo richiamato emerge come la retroattività di una legge non penale possa ammettersi solamente laddove, all’esito di un prudente bilanciamento, sussistano preminenti motivi imperativi di interesse generale a sostegno della scelta.
Ora, con riferimento alla norma censurata, non risultano sussistere tali imperative ragioni di interesse generale, e la norma è irragionevole.
Infatti lo scopo dichiarato del legislatore, col D.L. 1/2012 e norme derivate e conseguenti, è quello di liberalizzare il mercato delle professioni.
Tuttavia, rispetto a tale obiettivo, la retroattività dell’abrogazione delle tariffe è del tutto inefficace e, quindi, il mezzo appare inadeguato e sproporzionato allo scopo (con ciò concretizzando anche violazione del principio di proporzionalità, immanente al sistema dell’Unione ed esplicitato dall’5 co. IV Trattato sull’Unione e art. 296 del Trattato sul funzionamento dell’Unione).
Infatti l’autonomia negoziale, cui la liberalizzazione vorrebbe fare da volano, risulta veramente spendibile solo nel momento – anteriore all’instaurazione del rapporto - delle trattative e, quindi, solamente con riguardo ai contratti ancora da stipulare, successivi alle nuove disposizioni, mentre, per quelli già conclusi in epoca precedente e tutt’ora in fase di esecuzione, il mutamento dei compensi in corso d’opera si traduce in un mutamento dell’equilibrio contrattuale a suo tempo concordato tra le parti (con una di esse che inevitabilmente finisce per guadagnarci e un’altra per perderci), a dispetto delle valutazioni di convenienza dalle stesse condotte al momento della stipulazione, quando invece, in passato, era sempre stato pacifico che le nuove tariffe che via via entravano in vigore si sarebbero applicate solo ed esclusivamente agli adempimenti successivi.
Ciò ha del resto la sua logica spiegazione giuridica nel fatto che il diritto e la misura del compenso del professionista sorgono e si determinano nel momento stesso del compimento delle singole attività.
S’intende dire che la fattispecie giuridica, col compimento del singolo adempimento, si è già perfezionata e l’effetto (il diritto e la misura del compenso) si è già prodotto in favore del professionista, secondo il noto sillogismo fattonorma-effetto.
Intervenire retroattivamente su quell’effetto significa dunque non solo toccare un diritto quesito, ma anche alterare arbitrariamente gli effetti di una fattispecie esaurita, a danno necessariamente di una delle parti.
Potrebbe quindi oggi quindi venirsi la disomogenea situazione per cui, pur avendo in ipotesi due avvocati posto in essere il medesimo adempimento in una stessa data, uno di essi, più solerte nel chiederne il pagamento, avrebbe conseguito il dovuto nella misura prevista dalle vecchie tariffe, mentre il secondo, che abbia come di consueto atteso la fine del giudizio, limitandosi a richiedere di volta in volta degli acconti, si vedrebbe liquidato un compenso differente e mediamente più basso.
Né si dica che, per i contratti in corso, le parti potrebbero cautelarsi rinegoziando il rapporto e concludendo l’accordo caldeggiato dalla riforma: v’è infatti da domandarsi quale forza negoziale possano spendere gli avvocati nei confronti di clienti che, nel caso non si dovesse raggiungere un accordo, sanno che il compenso verrà liquidato in base al nuovo D.M. 140/2012.
Il quale prevede compensi mediamente assai più bassi di quelli a suo tempo liquidabili col D.M. 08.04.2004 (stante anche il fatto che il valore della causa non si determinerebbe più, come avveniva in precedenza, in base alle norme del codice di procedura civile, bensì in base alla somma finale concretamente attribuita alla parte vincitrice).
Il caso di specie è emblematico: posto un valore della controversia di euro 5.000,00 circa, in base al D.M. 08.04.2004 le parti hanno presentato parcelle che oscillano tra euro 4.664,00 ed euro 10.000,00 circa, oltre a spese e accessori, mentre, adottando il D.M. 140/2012, il compenso del legale ammonterebbe, in media, ad euro 2.100,00 circa, aumentabile fino ad un massimo di euro 3.855,00.
Invece i calcoli funzionali alla conclusione degli accordi sui compensi si debbono fare all’inizio e a bocce ferme, non in corso di causa.
In realtà l’obiettivo del legislatore sembra essere un altro: dare forza contrattuale al cliente, tramite l’abbassamento delle tariffe, ma non già per favorire il portafogli del cliente stesso, bensì per spingere gli avvocati a non accettare incarichi non remunerativi e, così, bloccare l’alluvionale afflusso di processi che intasano le aule di giustizia, afflusso che non ha pari in nessun altro paese d’Europa.
In pratica, dietro l’apparente schermo della liberalizzazione, si tenta di risolvere il problema della giustizia, facendo leva sul solito versante delle spese: fino ad oggi lo si era fatto calcando la mano sulla soccombenza; oggi lo si fa svilendo il lavoro degli avvocati.
Ed ecco allora che, nell’ottica del legislatore, anche la retroattività dell’abrogazione delle tariffe acquisterebbe un senso: quello di spingere gli avvocati a definire in fretta cause per le quali si rischia di aver lavorato per anni in perdita.
Così però si usa in maniera distorta lo schermo della liberalizzazione e lo strumento della retroattività, per creare un filtro indiretto all’accesso dei cittadini alla giustizia.
Ma ciò è contrario all’art. 24 della Costituzione, che deve quindi anch’esso ritenersi violato dalla normativa censurata.
Si è tutti d’accordo che, tra le cause della lentezza dei processi, vi sia l’eccessiva mole di contenzioso.
Bisogna però allora avere il coraggio di fare una scelta fondamentale: o garantire un accesso alla giustizia indiscriminato, come avviene oggi, strada che appare però sempre più difficilmente percorribile, a fronte della scarsità di risorse; oppure creare i giusti filtri e limiti – il filtro in Cassazione e il filtro in appello ad esempio, recentemente introdotto -, che però non possono passare per lo svilimento del lavoro già svolto di un’intera categoria di professionisti.
L’effetto retroattivo dell’abrogazione si evince senza possibilità di equivoci o differenti interpretazioni dalla lettera dell’art. 9 co. I-II, ove si afferma perentoriamente che “sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” e “nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante…”.
Anche il co. V indirizza nella stessa direzione, affermando che “sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe…”.
Ora l’applicazione retroattiva dell’abrogazione delle tariffe deve ritenersi in contrasto con gli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione, quest’ultimo nella parte in cui impone di legiferare nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall’Italia, nella specie l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (cui ha aderito anche l’Unione ex art. 6 Trattato Ue) e il principio di proporzionalità all’art. 5 co. IV e all’art. 296 trattato Ue, oltre che nel rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione firmata a Nizza nel 2000, pure richiamata dall’art. 6 Trattato Ue, che annovera lo stato di diritto tra i principi comuni alle tradizioni costituzionali degli stati membri dell’Ue.
Sebbene infatti la nostra Costituzione non preveda, se non in campo penale e, secondo un’interpretazione più moderna, in tutto il settore sanzionatorio, il divieto assoluto di norme retroattive, il principio di irretroattività riceve comunque copertura costituzionale, come anche recentemente la Consulta ha avuto modo di affermare nella sentenza n. 78/2012.
L’art. 3 della Costituzione infatti, nello stabilire il principio di uguaglianza e, quindi, di ragionevolezza delle scelte del legislatore, impone di salvaguardare la certezza dell’ordinamento, in funzione dell’affidamento dei cittadini, che devono poter orientare le proprie condotte, confidando che esse non saranno sindacate ex post, in base a norme non vigenti e, dunque, non conoscibili al momento in cui la fattispecie produttiva di effetti giuridici era ancora in fieri.
Ugualmente l’art. 117 della Costituzione, nell’imporre al legislatore di legiferare in conformità al diritto internazionale pattizio, rinvia, tra l’altro, alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ratificata dall’Italia con L.
848/55, nonché alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha pure avuto modo di precisare come, ex art. 6 CEDU, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo ostano a che il potere legislativo interferisca con l’amministrazione della giustizia o pregiudichi l’affidamento dei cittadini (cfr Corte EDU 07.06.2011 Agrati c/Italia).
Analoghi principi si rinvengono in ambito comunitario, per effetto del richiamo effettuato dall’art. 6 Trattato Ue alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e alla Carta dei Diritti dell’Unione di Nizza.
Dal compendio normativo richiamato emerge come la retroattività di una legge non penale possa ammettersi solamente laddove, all’esito di un prudente bilanciamento, sussistano preminenti motivi imperativi di interesse generale a sostegno della scelta.
Ora, con riferimento alla norma censurata, non risultano sussistere tali imperative ragioni di interesse generale, e la norma è irragionevole.
Infatti lo scopo dichiarato del legislatore, col D.L. 1/2012 e norme derivate e conseguenti, è quello di liberalizzare il mercato delle professioni.
Tuttavia, rispetto a tale obiettivo, la retroattività dell’abrogazione delle tariffe è del tutto inefficace e, quindi, il mezzo appare inadeguato e sproporzionato allo scopo (con ciò concretizzando anche violazione del principio di proporzionalità, immanente al sistema dell’Unione ed esplicitato dall’5 co. IV Trattato sull’Unione e art. 296 del Trattato sul funzionamento dell’Unione).
Infatti l’autonomia negoziale, cui la liberalizzazione vorrebbe fare da volano, risulta veramente spendibile solo nel momento – anteriore all’instaurazione del rapporto - delle trattative e, quindi, solamente con riguardo ai contratti ancora da stipulare, successivi alle nuove disposizioni, mentre, per quelli già conclusi in epoca precedente e tutt’ora in fase di esecuzione, il mutamento dei compensi in corso d’opera si traduce in un mutamento dell’equilibrio contrattuale a suo tempo concordato tra le parti (con una di esse che inevitabilmente finisce per guadagnarci e un’altra per perderci), a dispetto delle valutazioni di convenienza dalle stesse condotte al momento della stipulazione, quando invece, in passato, era sempre stato pacifico che le nuove tariffe che via via entravano in vigore si sarebbero applicate solo ed esclusivamente agli adempimenti successivi.
Ciò ha del resto la sua logica spiegazione giuridica nel fatto che il diritto e la misura del compenso del professionista sorgono e si determinano nel momento stesso del compimento delle singole attività.
S’intende dire che la fattispecie giuridica, col compimento del singolo adempimento, si è già perfezionata e l’effetto (il diritto e la misura del compenso) si è già prodotto in favore del professionista, secondo il noto sillogismo fattonorma-effetto.
Intervenire retroattivamente su quell’effetto significa dunque non solo toccare un diritto quesito, ma anche alterare arbitrariamente gli effetti di una fattispecie esaurita, a danno necessariamente di una delle parti.
Potrebbe quindi oggi quindi venirsi la disomogenea situazione per cui, pur avendo in ipotesi due avvocati posto in essere il medesimo adempimento in una stessa data, uno di essi, più solerte nel chiederne il pagamento, avrebbe conseguito il dovuto nella misura prevista dalle vecchie tariffe, mentre il secondo, che abbia come di consueto atteso la fine del giudizio, limitandosi a richiedere di volta in volta degli acconti, si vedrebbe liquidato un compenso differente e mediamente più basso.
Né si dica che, per i contratti in corso, le parti potrebbero cautelarsi rinegoziando il rapporto e concludendo l’accordo caldeggiato dalla riforma: v’è infatti da domandarsi quale forza negoziale possano spendere gli avvocati nei confronti di clienti che, nel caso non si dovesse raggiungere un accordo, sanno che il compenso verrà liquidato in base al nuovo D.M. 140/2012.
Il quale prevede compensi mediamente assai più bassi di quelli a suo tempo liquidabili col D.M. 08.04.2004 (stante anche il fatto che il valore della causa non si determinerebbe più, come avveniva in precedenza, in base alle norme del codice di procedura civile, bensì in base alla somma finale concretamente attribuita alla parte vincitrice).
Il caso di specie è emblematico: posto un valore della controversia di euro 5.000,00 circa, in base al D.M. 08.04.2004 le parti hanno presentato parcelle che oscillano tra euro 4.664,00 ed euro 10.000,00 circa, oltre a spese e accessori, mentre, adottando il D.M. 140/2012, il compenso del legale ammonterebbe, in media, ad euro 2.100,00 circa, aumentabile fino ad un massimo di euro 3.855,00.
Invece i calcoli funzionali alla conclusione degli accordi sui compensi si debbono fare all’inizio e a bocce ferme, non in corso di causa.
In realtà l’obiettivo del legislatore sembra essere un altro: dare forza contrattuale al cliente, tramite l’abbassamento delle tariffe, ma non già per favorire il portafogli del cliente stesso, bensì per spingere gli avvocati a non accettare incarichi non remunerativi e, così, bloccare l’alluvionale afflusso di processi che intasano le aule di giustizia, afflusso che non ha pari in nessun altro paese d’Europa.
In pratica, dietro l’apparente schermo della liberalizzazione, si tenta di risolvere il problema della giustizia, facendo leva sul solito versante delle spese: fino ad oggi lo si era fatto calcando la mano sulla soccombenza; oggi lo si fa svilendo il lavoro degli avvocati.
Ed ecco allora che, nell’ottica del legislatore, anche la retroattività dell’abrogazione delle tariffe acquisterebbe un senso: quello di spingere gli avvocati a definire in fretta cause per le quali si rischia di aver lavorato per anni in perdita.
Così però si usa in maniera distorta lo schermo della liberalizzazione e lo strumento della retroattività, per creare un filtro indiretto all’accesso dei cittadini alla giustizia.
Ma ciò è contrario all’art. 24 della Costituzione, che deve quindi anch’esso ritenersi violato dalla normativa censurata.
Si è tutti d’accordo che, tra le cause della lentezza dei processi, vi sia l’eccessiva mole di contenzioso.
Bisogna però allora avere il coraggio di fare una scelta fondamentale: o garantire un accesso alla giustizia indiscriminato, come avviene oggi, strada che appare però sempre più difficilmente percorribile, a fronte della scarsità di risorse; oppure creare i giusti filtri e limiti – il filtro in Cassazione e il filtro in appello ad esempio, recentemente introdotto -, che però non possono passare per lo svilimento del lavoro già svolto di un’intera categoria di professionisti.
P.Q.M.
Ritenuto che le questioni sollevate
siano pregiudiziali, non potendosi decidere sulla liquidazione delle spese
senza la risposta della Consulta;
ritenuto altresì che la questione non sia manifestamente infondata, per tutti i motivi addotti;
ritenuto che la lettera della legge non consenta interpretazioni alternative, compatibili col dettato costituzionale, che autorizzino il Giudice a non applicare retroattivamente le nuove tariffe;
IL TRIBUNALE DI CREMONA
in persona del giudice monocratico Dott. Giulio Borella, solleva eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art. 1 della L. 27/2012, e del collegato D.M. 140/2012, nella parte in cui dispongono l’applicazione retroattiva delle nuove tariffe forensi anche ai processi in corso e all’attività già svolta ed esaurita prima della sua entrata in vigore, in relazione all’art. 3, 24 e 117 Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 Cedu, all’art. 5 trattato Ue e all’art. 296 Trattato sul Funzionamento dell’Ue e all’art. 6 Trattato Ue e per esso ai principi dello Stato di Diritto richiamati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta di Nizza.
Dispone la sospensione del processo in corso e ordina la trasmissione dell’ordinanza e degli atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla prova delle notificazioni eseguite.
Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica ex art. 23 ult.co. L.
87/1953
ritenuto altresì che la questione non sia manifestamente infondata, per tutti i motivi addotti;
ritenuto che la lettera della legge non consenta interpretazioni alternative, compatibili col dettato costituzionale, che autorizzino il Giudice a non applicare retroattivamente le nuove tariffe;
IL TRIBUNALE DI CREMONA
in persona del giudice monocratico Dott. Giulio Borella, solleva eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art. 1 della L. 27/2012, e del collegato D.M. 140/2012, nella parte in cui dispongono l’applicazione retroattiva delle nuove tariffe forensi anche ai processi in corso e all’attività già svolta ed esaurita prima della sua entrata in vigore, in relazione all’art. 3, 24 e 117 Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 Cedu, all’art. 5 trattato Ue e all’art. 296 Trattato sul Funzionamento dell’Ue e all’art. 6 Trattato Ue e per esso ai principi dello Stato di Diritto richiamati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta di Nizza.
Dispone la sospensione del processo in corso e ordina la trasmissione dell’ordinanza e degli atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla prova delle notificazioni eseguite.
Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica ex art. 23 ult.co. L.
87/1953
ell’art.11
e dell’Allegato A del D.M.140/2012
Cap.III: L’abrogazione delle Tariffe
Forensi e il loro “recupero”attraverso gli usi ex art.2233 C.C.-pag. pag.
Provvedimento Tribunale di Varese –
luglio 2012
C’è chi cerca di colmare la lacuna che il governo ha
posto in essere con la legge 27/2012 abolendo di fatto le Tariffe forensi e non
preoccupandosi minimamente di provvedere, sempre secondo i loro tempi indicati
(120 giorni) ad una nuova formulazione delle stese tariffe, per cui noi poveri
avvocati barcollavamo nel caos totale con lo spauracchio sia delle liquidazioni
nei provvedimenti giudiziari che nella compilazione dei precetti, dove le
nostre controparti avevano il giusto pretesto per proporre opposizione.
A questa carenza legislativa
sono intervenute pronunce da parte di Giudici di merito e in particolare il
dott. Giuseppe Buffone della prima sezione civile del Tribunale di Varese che,
già nel febbraio 2012 aveva emesso decreto nel quale, a fronte della
abrogazione delle tariffe professionali con il decreto Cresci Italia, ma
non degli art. 2225 cc e 75 disp. att. Cpc, aveva determinato che per la
liquidazione degli onorari nei decreti ingiuntivi il giudice può ben rifarsi
alle cosiddette tabelle orientative che costituiscono una consolidata
esperienza liquidatoria che parte proprio dai presupposti di cui all’art. 2225
c.c., (I decreti ingiuntivi dopo il “Cresci Italia”: compensi agli avvocati
in base alle tabelle orientative. Gli standard condivisi con l’Ordine forense
consentono liquidazioni non equitative ma secondo diritto) ed ora ha
reiterato il suo orientamento giuridico ribadendo che per la quantificazione
del compenso agli avvocati si può fare riferimento all’art. 2233 c.c. laddove si enuncia che il compenso del lavoro
autonomo, in mancanza di patti fa le parti e di tariffe, può avvenire secondo
gli usi e deve risultare adeguata alla prestazione svolta.
Gli usi sino all’entrata in vigore
del decreto Cresci Italia erano le tariffe forensi stabilite nelle tabelle del
Dm del 8 aprile 2008 non essendo da parte del Ministero competente alcuna
emanazione di altre tabelle successive.
Vi è un ulteriore pronuncia in
materia, non pubblicata ma essendo parte in causa edotta, in relazione alla
redazione del precetto che opposto veniva sollevato la problematica
dell’abolizione delle tariffe.
Il Tribunale di Vicenza in seduta collegiale in data 12 -16/7/12, a seguito di reclamo dell’opponente, ha emesso ordinanza che fra l’altro dichiara che: “premesso che l’abrogazione, intervenuta medio tempore, ad opera del D.L.1/12 non ha rilevanza anzitutto perché quella norma riguardava la liquidazione giudiziale dei compensi professionali, mentre nel caso di specie trattasi di liquidazione da parte del procuratore ; inoltre, la previgente tariffa è provvisoriamente ancora in vigore, ancorché in via transitoria per effetto della legge di conversione di quel decreto e in attesa di una nuova regolamentazione della materia, sicché il procuratore può fare riferimento alla stessa nella determinazione delle voci del precetto
Cap.IV: la difesa del sistema
Tariffario nella Giurisprudenza della Corte di Giustizia C.E.
Le Tariffe Forensi nella
Giurisprudenza della Corte Europea :i criteri di concorrenza: un punto fermo
nella Giurisprudenza della Corte di Giustizia CE-
Non è la prima volta
che i sistemi tariffari italiani vengono messi in discussione dalla
Commissione. Era già avvenuto nel 2003, quando era commissario Mario Monti.
La legittimità e persino l’utilità del sistema tariffario – insieme alla necessità di una rigida disciplina degli ordini professionali – viene strenuamente difesa sulla base della asserzione che barriere all’ingresso delle professioni e stretta regolamentazione dei prezzi servirebbero a garantire i cittadini da abusi e inettitudini professionali. I fatti però non sembrano confermare questa convinzione.
Un indice del grado di rilevanza della tutela offerta dall’ordine contro comportamenti scorretti tenuti dagli avvocati può essere rappresentato dal numero di procedimenti disciplinari avviati in media ogni anno. Secondo i dati del Consiglio d’Europa , per l’Italia il valore di questo indicatore è particolarmente basso: 2,3 procedimenti ogni mille avvocati contro i 217 della Finlandia, i 193 della Danimarca, ma anche i 44 della Grecia.
Un indicatore così basso può essere imputato a due fatti radicalmente differenti. Entrambi, però, fanno apparire poco rilevante la funzione di garanzia degli ordini riguardo la qualità del servizio. Se infatti gli avvocati italiani sono particolarmente corretti e non si determinano le condizioni per avviare procedure disciplinari, allora un ordine strettamente regolamentato non ha ragione d’essere. Se invece esistono casi di comportamento scorretto, ma l’ordine chiude un occhio e non li sanziona, allora ordini strettamente regolamentati non sono efficaci e dunque non sono molto utili.
Anche la rigida regolamentazione delle tariffe, che pure viene giustificata come forma di tutela del cliente, produce effetti molto dannosi sull’efficienza della gestione del processo, e di quello civile in particolare.
La legittimità e persino l’utilità del sistema tariffario – insieme alla necessità di una rigida disciplina degli ordini professionali – viene strenuamente difesa sulla base della asserzione che barriere all’ingresso delle professioni e stretta regolamentazione dei prezzi servirebbero a garantire i cittadini da abusi e inettitudini professionali. I fatti però non sembrano confermare questa convinzione.
Un indice del grado di rilevanza della tutela offerta dall’ordine contro comportamenti scorretti tenuti dagli avvocati può essere rappresentato dal numero di procedimenti disciplinari avviati in media ogni anno. Secondo i dati del Consiglio d’Europa , per l’Italia il valore di questo indicatore è particolarmente basso: 2,3 procedimenti ogni mille avvocati contro i 217 della Finlandia, i 193 della Danimarca, ma anche i 44 della Grecia.
Un indicatore così basso può essere imputato a due fatti radicalmente differenti. Entrambi, però, fanno apparire poco rilevante la funzione di garanzia degli ordini riguardo la qualità del servizio. Se infatti gli avvocati italiani sono particolarmente corretti e non si determinano le condizioni per avviare procedure disciplinari, allora un ordine strettamente regolamentato non ha ragione d’essere. Se invece esistono casi di comportamento scorretto, ma l’ordine chiude un occhio e non li sanziona, allora ordini strettamente regolamentati non sono efficaci e dunque non sono molto utili.
Anche la rigida regolamentazione delle tariffe, che pure viene giustificata come forma di tutela del cliente, produce effetti molto dannosi sull’efficienza della gestione del processo, e di quello civile in particolare.
Corte di Giustizia, Grande Sezione
Sentenza del 29 marzo 2011
(presidente A. Tizzano, relatore U. Lõhmus)
(...)
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che, prevedendo disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE.
Sentenza del 29 marzo 2011
(presidente A. Tizzano, relatore U. Lõhmus)
(...)
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che, prevedendo disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE.
L’art. 13
della legge 9 febbraio 1982, n. 31, sulla libera prestazione di servizi da
parte degli avvocati cittadini di altri Stati membri della Comunità europea
(GURI n. 42, del 12 febbraio 1982, pag. 1030), che recepisce la
direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare
l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli
avvocati (GU L 78, pag. 17), estende l’obbligo di rispettare le
tariffe professionali in vigore agli avvocati di altri Stati membri che
svolgono in Italia attività giudiziali e stragiudiziali.
I diritti e gli onorari degli avvocati sono stati successivamente disciplinati da più decreti ministeriali di cui gli ultimi tre sono il D.M. 24 novembre 1990, n. 392, il D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, e il D.M. 8 aprile 2004, n. 127.
Conformemente alla deliberazione del CNF allegata al decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 (GURI n. 115, del 18 maggio 2004; in prosieguo: la «deliberazione del CNF»), le tariffe applicabili agli onorari degli avvocati si suddividono in tre capitoli, vale a dire il capitolo I, relativo alle prestazioni giudiziali in materia tanto civile, amministrativa quanto fiscale, il capitolo II, concernente le prestazioni giudiziali in materia penale, e il capitolo III, riguardante le prestazioni stragiudiziali.
raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
I diritti e gli onorari degli avvocati sono stati successivamente disciplinati da più decreti ministeriali di cui gli ultimi tre sono il D.M. 24 novembre 1990, n. 392, il D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, e il D.M. 8 aprile 2004, n. 127.
Conformemente alla deliberazione del CNF allegata al decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 (GURI n. 115, del 18 maggio 2004; in prosieguo: la «deliberazione del CNF»), le tariffe applicabili agli onorari degli avvocati si suddividono in tre capitoli, vale a dire il capitolo I, relativo alle prestazioni giudiziali in materia tanto civile, amministrativa quanto fiscale, il capitolo II, concernente le prestazioni giudiziali in materia penale, e il capitolo III, riguardante le prestazioni stragiudiziali.
raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
La Corte di
Giustizia ha respinto il ricorso proposto dalla Commissione UE che ha
chiesto di constatare che, prevedendo disposizioni che impongono agli
avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana è
venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE.
In particolare, secondo la Corte "la Commissione non è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione è concepita in modo da pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al riguardo, che la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati. Così, è possibile aumentare gli onorari fino al doppio delle tariffe massime altrimenti applicabili, per cause di particolare importanza, complessità o difficoltà, o fino al quadruplo di dette tariffe per quelle che rivestono una straordinaria importanza, o anche oltre in caso di sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel caso di specie, tra le prestazioni dell’avvocato e le tariffe massime previste. In diverse situazioni, inoltre, è consentito agli avvocati concludere un accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare l’importo degli onorari".
Ancora: "L’esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non può dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro. Per contro, una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci".
(Corte di Giustizia UE, Sentenza 29 marzo 2011: Inadempimento di uno Stato – Artt. 43 CE e 49 CE – Avvocati – Obbligo di rispettare tariffe massime in materia di onorari – Ostacolo all’accesso al mercato – Insussistenza)
In particolare, secondo la Corte "la Commissione non è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione è concepita in modo da pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al riguardo, che la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati. Così, è possibile aumentare gli onorari fino al doppio delle tariffe massime altrimenti applicabili, per cause di particolare importanza, complessità o difficoltà, o fino al quadruplo di dette tariffe per quelle che rivestono una straordinaria importanza, o anche oltre in caso di sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel caso di specie, tra le prestazioni dell’avvocato e le tariffe massime previste. In diverse situazioni, inoltre, è consentito agli avvocati concludere un accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare l’importo degli onorari".
Ancora: "L’esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non può dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro. Per contro, una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci".
(Corte di Giustizia UE, Sentenza 29 marzo 2011: Inadempimento di uno Stato – Artt. 43 CE e 49 CE – Avvocati – Obbligo di rispettare tariffe massime in materia di onorari – Ostacolo all’accesso al mercato – Insussistenza)
"Gli artt. 10 CE, 81 CE e 82 CE non ostano in linea di principio all’adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, anche sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate né per quelle che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa.
Tuttavia, una normativa che vieti in
maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati
da una tariffa professionale costituisce una restrizione della libera
prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE.
Spetterà in concreto al giudice di merito verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi".
Spetterà in concreto al giudice di merito verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi".
le tariffe obbligatorie degli onorari di avvocati italiani non sono in contrasto con le disposizioni del trattato in materia di concorrenza
Pertanto, la normativa italiana in materia non è in contrasto con il diritto comunitario.
Conclusioni:L’accordo
tra le parti:prevenire è meglio che curare.Se è vero che l’abolizione delle
ormai obsolete Tariffe Forensi, modulate da un Decreto Ministeriale del 2004,
hanno fatto sentire, almeno per un attimo, il ceto Forense, deprivato, per così
dire, di una stabile ancora o punto di riferimento, dall’altro hanno reso, di
fatto, obbligatorio o quanto mai auspicabile, il passaggio dell’accordo
preventivo tra le parti, in assenza del quale, l’Organo giudicante dovrà
necessariamente rifarsi ai criteri dettati dal d.m.140/12.
Appendice

CONFERIMENTO INCARICO PROFESSIONALE
IN BASE AL D.M. 140 /2012
Con la presente il sig.
……………………………………….., nato a ………. il …………, C.F. …………, residente in ………………, via
…………………………, in proprio / quale legale rappresentante di …………………………, con sede in
……………………, P. IVA …………………………, come da visura CCIAA che si allega al presente, o
quale rappresentante di ……………… (persona fisica), identificato dall’avv.…………..a
mezzo (documento) …………….. rilasciato da (autorità) ……………………... in data ….………..
di cui si allega copia, ricevuta l’informativa e prestato consenso al
trattamento dei dati personali ai sensi di legge,
CONFERISCE
all'Avv.
................................................... l'incarico di
assistenza, rappresentanza, consulenza e difesa nella controvesia insorta nei
confronti di ....................... avente ad
oggetto........................................................... ed il cui
valore, è indicativamente quantificato in Euro e
PATTUISCE
con il suddetto legale che accetta,
quanto di seguito indicato :
1) Il Compenso e spese generali
di organizzazione e gestione dello studio legale
Il compenso monetario, per le
prestazioni professionali sopra menzionate viene così concordato :
a) euro ................. per
l'attività di assistenza stragiudiziale tesa alla definizione della
controversia, ivi compresa l'eventuale fase della procedura di mediazione
obbligatoria introdotta col D. Lgs. 28/2010;
b) euro ..................... per la
fase di studio della controversia, così come meglio specificata all’art. 11 del
Decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140;
c) euro ..................... per la
fase introduttiva del procedimento, così come meglio specificata all’art. 11
del Decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140;
d) euro ..................... per la
fase istruttoria, così come meglio specificata all’art. 11 del Decreto
ministeriale 20 luglio 2012, n. 140;
e) euro ..................... per la
fase decisoria, così come meglio specificata all’art. 11 del Decreto
ministeriale 20 luglio 2012, n. 140;
e così per un importo complessivo
di euro …………….., oin aggiunta al contributo previsto per la Cassa
Nazionale di Previdenza e Assistenza Avvocati ed IVA come per legge, ove
dovuta.
In caso di accordo conciliativo
della controversia il Cliente si impegnerà a corrispndere al
professionista, quanto pattuito per le fasi svolte aumentato del.....% ,
oltre al contributo alla Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Avvocati
ed IVA come per legge, ove dovuta.
Il Cliente, si impegna sin da ora a
versare il 12,5% sul compenso dovuto per spese generali di organizzazione
e gestione dello studio.
2) Spese
Nei compensi di cui all’art. 1 non
debbono essere comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi
modalità, né oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo, nonchè i costi
degli ausiliari (contributo unificato, marche, costi di notifica, spese di
consulenza tecnica d'ufficio o di consulenza tecnica di parte, ecc...).
Ogni spesa e costo a carico del
Cliente verranno dallo stesso corrisposte direttamente o, se anticipati
dal legale, rimborsati a semplice richiesta di quest’ultimo.
3) Informazione circa la
complessità dell’incarico e i costi preventivabili
Il Cliente dichiara di essere a
conoscenza del particolare grado di complessità dell'incarico e di aver
ricevuto tutte le informazioni utili circa gli eventuali costi futuri. (andrebbero
indicati più specificatamente le motivazione della complessità o meno della
controversia)
4) Pagamenti e sotoscrizione
della clausola risolutiva espressa
Il Cliente si obbliga a
pagare all' legale incaricato, i preavvisi di parcella che lo
stesso, provvederà ad emettere, in acconto o a saldo, in conformità a quanto
concordato.
Il mancato pagamento degli acconti
richiesti o il mancato rimborso delle spese anticipate dal professionista
confugurano causa legittima di risoluzione del presente
contratto ed consentono all'Avv.........di rinunciare immediatamente, al
mandato conferitogli con esonero da ogni responsabilità, esclusi gli oneri di
comunicazione previsti dal codice di procedura civile sino alla nomina di altro
difensore.
5) Rilevanza della liquidazione
giudiziale - compensazione
Il Cliente è tenuto a pagare la
Avv........ tutte le somme di cui al presente accordo a prescindere, da
quanto verrò liquidato in sede giudiziaria e dall'onere di rimborso posto
a carico di controparte. Qualora l'importo liquidato giudizialmente fosse
superiore a quanto pattuito, la differenza sarà riconosciuta a favore del
Legale incaricato.
L'Avv....... è autorizzato dal
Cliente a farsi versare direttamente dalla controparte le spese legali poste a
carico di quest'ultima ed a trattenere a titolo di compensazione
eventuali somme ricevute dalla controparte sino a soddisfazione del proprio
credito.
6) Polizza assicurativa
Il professionista indica di seguito
i dati della propria polizza assicurativa ................
Firma Cliente .....................
Firma Avvocato ..................
Art. 1
Ambito di applicazione e regole generali
Ambito di applicazione e regole generali
1. L'organo giurisdizionale che deve
liquidare il compenso dei professionisti di cui ai capi che seguono applica, in
difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, le disposizioni
del presente decreto. L'organo giurisdizionale puo' sempre applicare
analogicamente le disposizioni del presente decreto ai casi non espressamente
regolati dallo stesso.
2. Nei compensi non sono comprese le
spese da rimborsare secondo qualsiasi modalita', compresa quella concordata in
modo forfettario.
Non sono altresi' compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. I costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello stesso.
Non sono altresi' compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. I costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello stesso.
3. I compensi liquidati comprendono
l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attivita'
accessorie alla stessa.
4. Nel caso di incarico collegiale
il compenso e' unico ma l'organo giurisdizionale puo' aumentarlo fino al
doppio. Quando l'incarico professionale e' conferito a una societa' tra
professionisti, si applica il compenso spettante a uno solo di essi anche per
la stessa prestazione eseguita da piu' soci.
5. Per gli incarichi non conclusi, o
prosecuzioni di precedenti incarichi, si tiene conto dell'opera effettivamente
svolta.
6. L'assenza di prova del preventivo
di massima di cui all'articolo 9, comma 4, terzo periodo, del decreto-legge 24 gennaio
2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27,
costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo
giurisdizionale per la liquidazione del compenso.
7. In nessun caso le soglie
numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei
massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle
allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa.
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